Dei ritorni

Il primo trauma è climatico. Ieri ero in un posto assolato, clima tiepido ed oggi ho trovato nebbia, freddo, umido.
Il secondo sono la luce ed i colori: passi da qualcosa che è intensamente colorato, da una luce che è intensa anche a novembre al buio ed al grigio.
Dall’azzurro al nero, senza vie intermedie.

Il terzo è il dovere affrontare di nuovo la normalità o anormalità che si voglia, dopo un X di giorni passati tra dialoghi casuali, conoscenze on the road e tutto quanto fa spettacolo.

Come trovarsi sull’aereo in una situazione bizzarra e, a naso, abbastanza delirante.
Interno aereo, non sta salendo più nessuno. Supponendo sia stato dato il “boarding completed” mi sposto verso il finestrino.
Arriva il titolare del posto e, prima di spostarmi gli chiedo se non si potrebbe far cambio.
Risposta: “No, amo viaggiare vicino al finestrino”.
Benissimo, no problems, mi sposto.
Per qualche ragione il tipo mi parla in inglese, spiccato accento bergamasco e tono da categoria dello spirito “milanese”.
Passano alcuni minuti, sempre in inglese, mi si rivolge e mi dice:
Tipo-del-finestro: “Volevo farle una proposta, a me non piace viaggiare vicino al finestrino durante decolli ed atterraggi. Io faccio cambio con lei e poi ognuno ritorna al suo posto”.
Me rimane tra l’interdetto e l’attonito. Indecisa se rispondere “Tu hai fumato roba tagliata male” o qualcosa d’affine, mi limito a neppure alzare la testa dal libro ed a rispondere “Benissimo, se cambio una volta poi rimango lì”.
TdF appare quasi offeso e mi dice che la sua era un’ottima offerta che metteva d’accordo le nostre esisgenze. Nostre esigenze un beato, mi è venuto da rispondere, più che altro soddisfava le tue e null’altro. Essendo ogni tanto una signora mi limito ad ignorarlo mentre mi chiedo da dove esca sto fenomeno.

Rimangono i ricordi adesso, rimane il sapore della balaclava, dei caffè densi e scuri, l’odore di borotalco delle moschee, il profumo delle spezie.
Rimangono i tappeti perchè alla fine il venditore giusto l’ho trovato. M’ha sbattuto sotto il naso il Kilim giusto, con dei colori che erano caldi come l’estate, morbido e invitante il giusto.
Ha vinto lui ma ha vinto anche la voglia di qualcosa di bello, qualcosa da guardare e da cui farsi scaldare.

Ha vinto la bellezza, l’incanto di una città sospesa tra epoche, mondi, storia e futuro.

Tra i ricordi di imperi ed il futuro che ancora sta nascendo. Una città decisamente piena di giovani e di bellissimi vecchi, tra internet in ogni dove e i venditori che ancora girano con le merci sulla testa.
Con gente normale ammirata dal Topkapi o intenta a traghettare verso la sponda asiatica.

E lo stesso Topkapi, oltre agli intrighi e alla storia, t’insegna anche che i ricchi di un tempo eran decisamente più ricchi di tutto. Non solo monetariamente o a livello di beni ma, soprattutto, a livello di qualità della vita.

E’ stato bello andare, guardare, girare in angoli strani, trovarsi in situazioni paradossali, conunicare a gesti, scoprire posti da locali.

Colori, vita, suoni. E un’atmosfera decisamente più a misura d’uomo di quanto non siano le città del nord Italia, troppo prese a rincorrere l’idea che se sei un work-alcoholic non hai voglia di lavorare (*)

Fa freddo in Italia, non solo climaticamente. Fa freddo per quanto siamo diventati aggressivi, nervosi, armati l’uno contro l’altro.

E se è vero che di sicuro siamo più ricchi, al tempo stesso stiamo diventando sempre più poveri.

E sempre meno colorati.

(*) Quando la gente inizia a pensare che 14 ore al giorno siano un orario “giusto”, forse forse, ha perso un pochino il senso delle cose e la prospettiva delle priorità.

3 pensieri su “Dei ritorni

  1. Bubbo Bubboni ha detto:

    Sì, la proposta di TdF era pessima, ma anche la tua idea di cambiare posti non era buona.

    In caso d’incidente riconoscere i cadaveri è un casino!

    (Ah, come vorrei dirlo restando serio quando qualcuno mi chiede di cambiare posto!)

  2. Annarella ha detto:

    Sei sicuro di non essere una signora inglese di mezza età e lavorare alla reception di una grande società inglese ?
    Cotale signora mi disse che dovevo fare il badge perchè, nel caso fossi caduta nel laghetto, potevano riconoscermi.

    Quanto hai scritto mi suona simile, mettiamola così

  3. Bubbo Bubboni ha detto:

    Simpatica! E’ che io devo imparare a dirlo serio.

    Intanto mi limito a lasciare ai parenti una foto per i giornali con sfondo adeguato al tipo di viaggio e di, presumibile, morte… ma presto aggiungerò un campione di DNA per evitare la noiosa esumazione. Una volta che, di ritorno da un viaggio, potrò dormire quanto voglio! 🙂

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